COLLI

Brigante sequestra due giovani di Colli (1876)

La prima pagina del rapporto
Di storie di brigantaggio nel nostro paese se ne sono raccontate molte. Quella che più colpì la mia immaginazione, nel corso dell'infanzia, fu la leggenda che narrava dell'esistenza di un inestimabile tesoro di monete d'oro sepolto dai briganti in località "Lopara" che, però, era custodito dal ...diavolo! Avevo sempre interpretato questi racconti come riti apotropaici ma la scoperta di questo documento presso l'Archivio di Stato dell'Aquila mi ha indotto a ricredermi sulla loro fondatezza.
La storia, che non ha un epilogo in quanto devo ancora decriptare alcune parti del dossier, inizia, verosimilmente i primi giorni di Settembre del 1876, in località Pozzo Catino: il toponimo è di difficile interpretazione nel testo a causa di una grafia irregolare ed approssimativa dell'esetnsore, potrebbe anche trattarsi di Pozzo Latino, dove due giovani pastori di Colli, Giuseppe Caroli di Gaetano e Giovanfilippo Anastasi di Mario, - identità confermate verificando due fonti diverse- vengono sorpresi nelle loro capanne da un brigante che minacciandoli con un fucile li prende in ostaggio e li conduce nella montagna. Entra in scena un altro personaggio, non si comprende bene come per la difficoltà ad interpretare la scrittura, Pietro Lauri, latore di un messaggio scritto che, asserisce di averlo avuto da un pastore "a lui ignoto", da consegnare a Gaetano Caroli e nel quale il figlio informa il proprio genitore di "...essere ritenuto dai Briganti e che esigevano per essere lasciato libero 500 Scudi. Soggiungendo che se il denaro non fosse stato trovato all'indomani i Briganti gli avrebbero tagliata un'orecchia [conserviamo la forma storica del documento, con l'evidente errore di ortografia] e il posdomani la testa." Nel messaggio veniva specificato che il denaro doveva essere portato a Camposecco di Camerata, dove riferiva il rapporto dei Carabinieri di Carsoli, "...pare abbiano i Briganti condotti i due giovani." I militi riferivano anche che Gaetano Caraoli era in attesa di ulteriori sviluppi della vicenda.

La chiesa di S. Nicola detiene abbazia di Luppa

La scheda di Tomassetti della Bolla
La chiesa S. Nicola di Colli, ha detenuto dal XVIII secolo, l'abbazia noncupata di Luppa in virtù di una Bolla del papa Benedetto XIV del 30 Ottobre 1754.
In passato sull'argomento era intervenuto, autorevolmete, varie volte Il Foglio di Lumen, limtando, tuttavia, la propria ricerca alla presenza di una chiesa S.Maria di Luppa. Con questo documento che pubblichiamo si attesta che in realtà i ruderi ancora esistenti sono le vestigia di un'abbazia noncupata che aveva al suo interno un altare dedicato alla Vergine.
Il documento vaticano delinea la storia dell'edificio di culto, risalendo all'attribuzione temporanea a Fabrizio Colonna, Contestabile del regno di Napoli nel "...Pridiae Kalendas Octobris anno quintodecimo..." e viene evocata anche la finalità "...pro militibus." E' lo stesso esponenete della prestigiosa famiglia a richiedere, in seguito, l'attribuzione delle rendite di questa terra alla chiesa Parrocchiale di Colli "...ecclesiae suoi Patronus." In una data non precisata ed essendo la sede "...vacante per obitum.." la Diocesi dei Marsi ne attribuisce lo ius patronatus ad un certo Laicone descritto nel documento come "...nobilum et altissimus iudicet..."  In un'epoca sempre non precistata subentra "per obitum... Thomas Bernardini... ultimi Possessoni", per quindi finalmente essere retrocessa dalla Diocesi "...at Parochialis Ecclesia sancti Nicolai Barensis noncupati terra Collius."
L'incipit della Bolla

La rendita annua di IV Ducati viene attribuita a "...Caietanus De Carolis Presbitero." In altra parte del documento il fruitore dei canoni viene individuato con il patronimico "Caietano de Caroli". L'elenco dei sacerdoti del nostro paese presente nell'Archivio vescovile di Avezzano individua, per quel periodo, la titolarità della chiesa di S. Nicola, nella figura di "Gaetano Caroli". Ora è noto che a Colli sono state residenti sia la famiglia De Carolis, oggi estinta, che Caroli, ancora presente; pertanto questa duplicità del documento pubblicato ingenera qualche confusione; ma, gli elementi raccolti fanno propendere per l'ipotesi che l'Arciprete in carica pro tempore alla chiesa parrocchiale di S. Nicola di Bari, fosse effettivamente Gaetano Caroli.
Ringrazio la Sovrintendenza dei beni Archivistici del Lazio, Archivio Colonna, Monastero di S. Scolastica, Subiaco, per l'autorizzazione concessa a riprodurre il documento; nonché gli Eredi Colonna.

Escursione estiva: ascesa monte Midia (1737 m.)

La sommità del Monte Midia in un disegno originale
Ai tanti amici che gremiranno il nostro paese nel mese di Agosto e che, dopo qualche giorno di permanenza, inizieranno ad annoiarsi per la monotonia del soggiorno, proponiamo questa escursione estiva, di difficoltà media, che, se effettuata al levar del sole, si rivelerà un'esperienza indimenticabile per l'eccezionale bellezza del paesaggio che si potrà contemplare durante l'ascesa ed alla sommità del monte Midia.
Si consiglia di utilizzare la macchina per arrivare al camping di Marsia e parcheggiare un pò prima della barra metallica che delimita la strada per raggiungere il Pian del Pozzo. I più ardimentosi potranno fare questo percorso a piedi da Colli calcando le orme dei pellegrini che nel mese di Luglio si recano al santuario della SS. Trinità di Vallepietra. Appena cento metri dopo si lascia la strada per inoltrarsi nel sentiero che penetra nel bosco, sulla destra. Seguire accuratamente il tracciato tenemdosi sempre verso l'alto, tralasciando il sentiero marcato dal più forte tropismo. All'interno del bosco si potrà apprezzare una brezza mattutina rigenerante e, se si è fortunati, degustare qualche fragolina appena sbocciata. Dopo circa settecento metri si scollina su un costone brullo da dove si vede già la vetta del monte Midia. I passeggiatori più attenti noteranno un sentiero delimitato, saltuariamente, da bande verticali rosse: è la master line che vi consentirà di arrivare alla cima utilizzando il percorso più breve.
La Valle della Dogana
Durante l'ascesa sono consigliate brevi soste per apprezzare lo scenario che avete intorno: dietro di voi la Valle della Dogana in questo periodo, di primo mattino, avvolta dalle nebbie, spettacolo insolito. La scena è dominata dal monte Padiglione. Alla vostra destra (Sud) potrete ammmirare la faggeta più estesa d'Europa con i vari tratturi che conducono alla fonte di San Nicola, al santuario della SS. Trinità, a Pereto. Riprenedendo il cammino si è attratti dalla flora del monte caratterizzata da una prevelanza di piante di Genziana e del pericoloso Velabro bianco, perfettamente identico alla Genziana -eccetto nella disposizione dei rami che è asimmetrica-, le cui radici sono velenose e provocano la morte dell'uomo, se erroneamente utilizzate per fabbricare il celeberrimo amaro.
Il vero spettacolo vi aspetta alla sommità del monte: ad ovest si notano con distinzione Oricola, Riofreddo, Licenza, Tivoli, quando non c'è foschia, anche la periferia Est di Roma. Ruotando lo sguardo verso Nord-Ovest sono perfettamente visibili i monti reatini, il Velino, i campi coltivati del Fucino ed uno skyline mozzafiato sin verso Cocullo. Il tempo necessario per l'ascesa è di circa 1 h.

E' consigliabile un primo ristoro non troppo frugale; riprendere il cammino seguendo il medesimo percorso dell'ascesa e giunti in prossimità del sentiero che s'immette nel bosco, continuare in avanti sino a raggiungere un sentiero molto ampio, solcato dal passaggio di fuoristrada. Giungere sino in fondo alla valle dove il sentiero si trasforma in un alveo di fiume tributario di fenomeni meteorici stagionali; costeggiarlo sulla destra o sulla sinistra (è indifferente) e dopo circa 500 m. si raggiunge Pian del Pozzo (foto in basso).
Pian del Pozzo con sullo sfondo il monte Midia

Qui si potrà di nuovo bivaccare in un rifugio attrezzato con camini per barbecue e tavoli in legno. Dopo una sosta a piacere si percorre la strada principale che ricondurrà, dopo circa 1 h. di cammino, nel luogo di sosta della macchina, in prossimità del camping.

Conferme sulla Virilassi della Vita di Berardo

L'Anfiteatro di Virilassi
Paolo Emilio Capaldi
Ricercatore e Storico

Nella Vita del Beato Berardo scritta da Giovanni di Segni, ricostruita di recente ed editata in francese e in latino dal prof. Jacques Dalarun, sono presenti più di cinquanta toponimi di località di epoca romana, per lo più collocati nella Marsica e nell’Abruzzo centrale, dove Berardo operò prodigi e dispiegò il suo pastorato, inaugurando una nuova arte di governo della Chiesa, incarnando un modello vescovile tipicamente Gregoriano.
Alcune di queste città romane vennero individuate attraverso un’appassionante avventura culturale che vide coinvolti alcuni cultori di storia locale, collaboratori della rivista di studi e ricerche Aequa; per altre si suggerirono delle ipotesi di lavoro: tra queste vi era Virilassi, prospettando che potesse trattarsi di un insediamento antropico prossimo a Civitas Marsorum, l’odierna San Benedetto dei Marsi, caratterizzato dalla presenza di un anfiteatro. Il reperimento di alcune fonti documentali confortano l’ipotesi formulata e l’enigma della Virilassi romana può, quindi, considerarsi risolto.
Nella propria tesi di laurea Fernique E., De Regione Marsorum. Thesim proponebat Facultati Litterarum Parisiensi, Lutetiae Parisiorum, Apud E. Thorin Bibliopolam et Editorem, mdccclxxx, pp. 74-80, scrive: Fuori delle mura, verso settentrione, vi sono ruderi di un anfiteatro; esso era lungo circa sessantacinque passi (m. 95), largo cinquantuno (m. 75); si può ancora vedere una porta, ma l’arena, a poco a poco, è stata ricoperta di terra né ormai si vedono vestigia di sedili”.
Nel secolo scorso, il direttore dell’Ufficio Tecnico del comune di Avezzano Loreto Orlandi, ispirandosi ampiamente alla Relazione del 15 maggio 1891 all’onorevole Commissione conservatrice di monumenti, di antichità e belle arti, della provincia dell’Aquila, sugli avanzi dell’antica Marruvio ne’ Marsi di Francesco Lolli (in Jetti G., La Marsica in due secoli, tra intellettuali, sovversivi e latifondisti, con una silloge di documenti inediti e rari, Avezzano, Ed. Kirke, 2012, pp. 69-96), pubblicò un prezioso volume (Orlandi L., I Marsi e l’origine di Avezzano, Napoli, Loffredo Editore, 1967, pp. 5-6. Le notizie sono state ricavate nella “nota biografica” di Palanza U. M.) con una descrizione dell’Anfiteatro ancora più accurata: Il solo resto visibile di fabbrica è un quarto del
Ipotesi della forma
architettonica del'Anfiteatro
perimetro ellittico, compreso fra l’estremità sud dell’asse maggiore e l’estremità est del minore, presso cui si nota una cella con parete frontale di m. 1,80 e lati di m. 2,00 con rivestimento a grossolano reticolo.
All’estremità sud dell’asse maggiore emerge dalla fossa una volta a botte a forma di androne con corda di m. 3,50 e freccia di m. 0,90 nella parte emergente sul rinterrato fossato.
Esternamente all’arco di fabbrica ellittico, a partire dall’estremità est dell’asse minore, si veggono a fior di terra cinque pilastri convergenti al centro dell’elissi, equidistanti fra loro di m. 4,00 e ciascuno largo m. 0,70 e lungo m. 2,50, La loro giacitura fa congetturare che appartenevano al porticato esteriore ed agli androni che se ne dipartivano, dando ingresso al vomitorio ed all’arena.
La presenza dei cinque pilastri esterni permette di ricostruire nelle sue proporzioni l’intero anfiteatro.
Aggiunti circa tre metri della lunghezza dei pilastri alle quattro estremità degli assi sopra misurati, si ha l’asse maggiore di m. 98,00 e quello minore di m. 82,00 e dando questi diametri una elisse perfetta, è da ritenere che tale calcolo sia esatto.
Facendo la proporzione tra queste misure e quelle dell’anfiteatro Flavio, che ha l’asse maggiore di m. 187,00 ed il minore di m. 155 e nell’arena rispettivamente di m. 85 e 53, nonché l’altezza totale di m. 49, risulta che gli assi dell’arena dell’anfiteatro di Marruvio sarebbero stati rispettivamente di m. 52 e m. 36, cosicché questo era grande oltre la metà del Colosseo.
È così sempre con tale confronto l’altezza totale dell’edificio deve calcolarsi a circa m. 25,00, che permette tre ordini di arcate sovrapposte e la capienza ragguagliata fra i trenta ed i trentacinquemila spettatori, che se può sembrare eccessiva in una città compresa nel perimetro di tre chilometri, non parrà più tale se si tien conto che agli spettacoli dovevano accorrere abitanti di tutta la Marsica e dei paesi finitimi.
Considerando infine che una ellisse con i diametri di metri 98 e 82 dà luogo a sessanta archi di m. 4,00 di luce impostati su pilastri spessi m. 0,70, dei quali archi quattro in corrispondenza delle testate degli assi rimanendone da questi intersecati giusto nel mezzo, possiamo ricostruirci l’aspetto dell’anfiteatro di Marruvio con tre ordini di arcate e con sessanta archi per ognuno”.

Marruvium o Civitas Marsorum
odierna San Benedetto dei Marsi
Per approfondire la ricerca a questo collegamento ipertestuale potrete trovare il saggio completo di Paolo Emilio Capaldi. Qui,invece, la relazione integrale di Francesco Lolli.






La vera storia del "saccheggio" di Colli

L'ingresso del castello dei Conti dei Marsi di Colli
Le note manoscritte che ci ha lasciato Giuseppe Mantica, si rivelano sempre più importanti per comprendere la storia di Colli. Il 9 Marzo 1821, quando le truppe austro-ungheresi attraversarono il nostro paese per raggiungere Napoli per sedare i moti rivoluzionari,secondo il Coppi Colli fu dato alle fiamme e saccheggiato; per Don Paolo Panegrossi fu solo saccheggiato, ora finalmente abbiamo la fonte, di tradizione orale, di Berardo Anastasi (postino a Colli nel secolo scorso), trascritta dal dr. Mantica, che apprese le notizie contenute nel suo racconto dal nonno Giò Domenico Anastasi.
"Il capo dei Carbonari di Colli era Giò Francesco De Carolis. Fu preso prigioniero dai Borboni e la sua casa fu saccheggiata. La famiglia fuggì a Nespolo. Per riscattarla furono pagati molti ducati, La famiglia rimase in miseria e la famiglia Panegrossi  fece loro trebbiare per lasciaglerli un Barcone di grano (10-15 q.). Ciò fu raccontato a Berarduccio dal nonno che, allora aveva 9 anni circa e che poi sposò la figlia del De Carolis". (Nella realtà ne aveva cinque in quanto Giò Domenico nacque nel 1816).
La composizione della famiglia De Carolis
Come si evince da questa pagina qui a fianco, tratta dello stato delle Anime di Colli, redatto dall'8 Agosto al 31 Dicembre 1821, la famiglia di Giò Francesco De Carolis, risiedeva di nuovo a Colli, ma il decesso della madre e della consorte del capo dei Carbonari di Colli, segnalano, probabilmente, che la terribile esperienza ebbe conseguenze tragiche. Va, inoltre, aggiunto che il 20 Giugno del 1821 Angelarosa mise al mondo un altro erede.
La pubblicistica dell'ottocento ha dato una narrazione donchisciottesca dell'avvenimento di quella giornata, utilizzando espressioni sarcastiche ("furono sparate solo qualche palla di cannone" - Coppi), le note manoscritte del dr. Mantica, precisano con meticolosità: "Nell'anno 1931 furono rinvenute nel torrione della roccaccia (3) e nel cimitero di Colli (21) (+ 1 conficcata in una quercia della Valle della Mola) palle di ferro di cannone del peso di Kg. 21. Un affusto di cannone fu usato, con adattamenti, per carro agricolo fino al 1930 circa."
Nel corso delle ricerche intraprese per scrivere questo post, ho provato una profonda emozione nell'apprendere la correlazione di parentela della mia famiglia con quel capo dei Carbonari che aveva anteposto i propri ideali patriottici al conformismo ambientale, subendone una dura repressione. In quello slancio fatto di principi etici profondi ho rivissuto ardori giovanili anarcoidi/barricadieri.

Albero Genealogico parziale della famiglia Anastasi

Lo scopo della costruzione di questo albero genealogico parziale della famiglia Anastasi è quello di dimostrare il rapporto di parentela con la famiglia di Giò Francesco De Carolis e quindi non ha alcuna pretesa di esaustività. L'arborescenza del grafico è limitata al ramo di discendenza maschile della famiglia. Tra parentesi è segnalata la data di nascita dei singoli componenti, che si è tralasciata per i viventi. Quando possibile, si è fatto ricorso all'onomastica vernacolare.
Il contributo apportato da Giovanni Anastasi per ricostruire questa genealogia, è stato fondamentale.

La scomparsa della più antica chiesa di Colli

1786 . Le proprietà della chiesa S. Giovanni
Nella Bolla del 25 Febbraio 1114 indirizzata a Berardo, il papa Pasquale II, ridisegnava i confini della Diocesi dei Marsi elencando tutti i luoghi di culto sotto la sua giurisdizione. Per il nostro territorio, erano presenti le chiese di S. Maria in Cellis a Carsoli e di S. Massimo a Roccaccerro; a Colli non ne è menzionata nessuana: la ragione può essere, quella più ovvia, ossia l'assenza di qualsiasi edificio sacro, oppure come sospetta l'eminente storico francese della santità medievale, Jacques Dalarun, perchè la Diocesi dei Marsi era frammentata in più sotto Diocesi che facevano capo a Trasacco e Celano, oltre che a S. Sabina.
Nella Bolla di papa Clemente III del 1188 al vescovo dei Marsi Eliano, compare la chiesa di S. Giovanni a Colli. In poco più di settanta anni le chiese della Diocesi hanno avuto un incremento di oltre 500%: cifra astronomica, pur considerando che i vescovi gregoriani ebbero una frenetica attività edificatoria e sottolineando che la sede dei Marsi restò vacante per ventiquattro anni dopo la morte di Berardo. E' più verosimile pensare che, alla fine del XII° secolo, la Diocesi era stata riunificata e così si spiegherebbe perfettamente il numero elevato delle chiese presenti nella seconda Bolla. Non è da escludere, tuttavia, che la costruzione della chiesa di S. Giovanni, collocata all'interno del Castello dei Conti dei Marsi, possa essere stata promossa dallo stesso Berardo, nel corso del suo pastorato (1110 - 1130).
Visita Pastorale del 1690
Nel 1303 la chiesa è presente nel Libro delle Decime della Diocesi dei Marsi. Nella visita pastorale effettuata nel 1690 dal Vescovo Francesco Berardino Corradini, cambia nome: "Ecclesia S. Marie, seu S. Joanny in arce - Chiesa S. Maria, già S. Giovanni all'interno della rocca."  Nel 1 Dicembre del 1800 la parrocchia venne soppressa dall'autorità ecclesiastica alla morte dell'economo curato Francesco Gervasi. Il 18 Agosto 1814 il Re delle due Sicilie emanò il decreto che cancellava la vacante Cura della chiesa S. Giovanni Battista; i rappresentanti del comune di Colli (Antonio Panegrossi, Eletto; Benedetto Caroli, Decurione, Francesco P..., Decurione) promossero una petizione, rivolta al vescovo, nella quale con argomentazioni, oggettivamente risibili, peroravano la causa della presenza di due sacerdoti a Colli. Nell'atto di indirizzo si sottolineava la mancanza di manutenzione della chiesa per circa due secoli, pur avendo rendite cospicue (nel 1786 ascendevano a Lire Tornesi 310), evidentemente complentamete assorbite dalle spese per il sostentamento del clero e che la Sottocura era autonoma dalla chiesa Parrocchiale di S. Nicola, la quale era "...di posteriore erezione, ma di dati ignoti."

Utili consigli restati inascoltati

I "desiderata" del vescovo De Giacomo
Nell'imminenza di una seconda campagna di campionatura degli affreschi presenti nella chiesa di S. Berardo, che sembra si stia concretizzando attraverso una partnership pubblico/privato, ci è apparso interessante pubblicare queste note, vergate da don Paolo Panegrossi, che esplicitano le osservazioni sulla chiesa dedicata al nostro Patrono, del vescovo De Giacomo, in occasione della visita pastorale del 14 e 15 Maggio 1872 a Colli.
La prima informazione preziosa di questo documento è che i temi sviluppati nella narrazione pittorica della chiesa sono numerosi, perché si prescrive di "...rinnovarsi le iscrizioni quasi cancellate che sono intorno a varie figure." Questa eventualità sembra assumere ancora maggiore certezza nel paragrafo successivo quando si consiglia l'allargamento delle due finestre che insistono sulla parete sud per dare maggiore luce alla chiesa ma, si prescrive "...facendo gli sfondi al di fuori"; suggerimento formulato nella chiara intenzione di non arrecare danni eccessivi agli affreschi interni. Tutt'altre esigenze sembrano, invece, privilegiare i curatori postmoderni dell'edificio sacro che lo gravano di pesanti interventi (forature delle pareti) per esporre paramenti sacri, organigrammi della Confraternita, che potrebbero avere una collocazione più consona nella sagrestia posta dietro l'altare principale, riducendo così il rischio di danno antropico agli affreschi sottostanti.
Le mutilazioni della Conversione
Il Monsignore restò inascoltato anche sul divieto di costruire un "...finestrone tondo sulla porta", che di recente è stato provvisto di vetri multicolori, ad effetti cromatici sgradevoli e, completamente avulsi dalle linee architettoniche di costruzione dell'edificio sacro, risalente almeno al XIV secolo: si conferma l'ossimoro: "il miglior modo di distruggere è costruire."
La parete sud della chiesa di S. Berardo

Singolare Agorà a Colli nel Seicento

La pagina iniziale dell'Antica Scrittura
La copia di un'antica scrittura, conservata sino a metà del secolo scorso nell'Archivio Parrocchiale di Colli, ci rapporta una singolare adunanza di alcuni cittadini del nostro paese, il "12 di Gennaro 1657", per decidere se aderire ad una nuova proposta di cessione di beni per ottenere la celebrazione di una messa a suffragio perenne alla morte di Pietro Paolo di Camillo, il giovedì di ogni settimana, nella chiesa di S, Berardo.
La riunione ha luogo "nella solita stanza della Comunità" alla presenza del Camerlengo (in epoca medievale era il tesoriere del Re) Giò Francesco Simeoni e dei Massari,  verte sull'integrazione di beni da concedere in aggiunta a quelli già trasferiti all'Università di Colli con un precedente contratto (il termine Università non va inteso nell'accezione moderna ma nel significato storico del tempo, come sinonimo di Comune), per ottenere il privilegio religioso. Oltre ai sei ducati di Regno e ducati "tre per 3° per ciascun anno durante sua vita", concessi nel negozio precedente, venivano aggiunti ducati centoventi in "beni stabili" (i beni immobiliari attuali) alla morte dell'attore, Nella nuova convenzione vengono devoluti all'Università di Colli anche alcuni terreni, dall'ubicazione dei quali si può presumere, che il di Camillo non fosse un cittadino di Colli ma di Carsoli o di Roccaccerro: uno di essi confina con "l'ospedale", verosimilmente, si tratta dell'ospedale per i poveri che esisteva a Carsoli nell'area che oggi insiste intorno al ponte in pietra sulla Valeria in direzione di Colli ed a fianco del quale nel Settecento una cittadina del nostro paese farà edificare la chiesa di S. Antonio Abate; un altro è situato "nel Prato alle Prata della Roccha di Cerro con l'alberi." L'atto conclusivo è firmato ed approvato, edittalmente, da tutti i cittadini presenti.
Regolamento del 1857
Pur in presenza di una Confraternita di S. Berardo (attestata dalla visita pastorale del vescovo dei Marsi del 1623 a Colli), i beni furono devoluti ad una entità, il Comune, a priori laica e per una finalità oltremondana. Il documento che pubblichiamo ci fa comprendere le diverse fasi storiche che ha attraversato questa gloriosa istituzione della Confraternita di S. Berardo: nel Seicento completamente asservita al potere temporale; nell'Ottocento subordinata all'autorità religiosa; in epoca contemporanea, formalmente ancora soggetta al potere della Chiesa, ma nella realtà utilizzata per riconvertirsi nel mercato politico e per entrare a far parte del notabilato locale egemonico, rissoso nel suo interno, mosso soltanto dal "familismo amorale" e da strategie di affermazione sociale.
 

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