COLLI

Berardo nel Dizionario Biografico degli Italiani

Nel Dizionario Biografico degli Italiani della Treccani è presente anche la voce dedicata a San Berardo a firma di: Zelina Zafarana. L'articolo si compone  di 6577 battute e rappresenta la più completa ed attendibile ricostruzione della vita di San Berardo per la pluralità delle fonti ed il rigore scientifico.
Il Dizionario Biografico degli Italiani, opera monumentale dell'Istituto Treccani  in continua evoluzione, raccoglie le biografie degli italiani dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente ai nostri giorni.  Si avvale del maggior numero di collaboratori di tutte le opere pubblicate dall'Istituto Treccani. Sono previsti 110 Volumi,  35.000 Biografie ed oltre 80.000 pagine di testo.

BERARDO, santo. - Nacque intorno al 1080, da Berardo dei conti dei Marsi e da Teodosia, nel castello di Colli, nella diocesi dei Marsi, non lontano dall'Aquila. Fonte principale, e quasi esclusiva, per la sua vita è la biografia scritta dal discepolo Giovanni, che fu canonico di S. Sabina a Valeria e poi vescovo di Segni, poco dopo la morte di B.: essa venne edita dall'Ughelli, da un codice della chiesa di Trasacco, e poi di nuovo negli Acta Sanctorum, in base anche a collazione con un frammento rinvenuto nella biblioteca Barberini (ora in Bibl. Apost. Vat., Vat. Barb. Lat. 1803).
B. ricevette l'educazione letteraria presso i canonici di S. Sabina a Valeria, cattedrale della diocesi dei Marsi, e in questa chiesa fu ordinato accolito dal vescovo Pandolfo; su richiesta del padre, Pandolfo lo mandò quindi a Montecassino, dove rimase sei anni e dove studiò sotto la guida del grammatico Paolo il Cieco che, secondo una notizia di Giovanni da Segni, ne avrebbe lasciato un elogio in un suo commento al Cantico dei Cantici andato perduto. Da Montecassino fu chiamato a Roma da papa Pasquale II, che lo ordinò suddiacono e lo costituì quindi "Campaniae provinciae comes", carica in cui B. ebbe modo di dimostrare prudenza ed energia nel reprimere delitti e ruberie e tener testa alle tirannidi locali: il suo biografo afferma di aver raccolto egli stesso in quella regione, ancora al tempo in cui scriveva, attestazioni dell'affetto che egli vi si era guadagnato. Fu tuttavia proprio nell'esercizio di questa carica che B. fu vittima di un attentato da parte di Pietro Colonna, il quale lo catturò e lo rinchiuse in una cisterna prosciugata, da cui riuscì a liberarlo il miles Giovanni da Petrella, suo consanguineo. Tornato a Roma, il pontefice creò B. cardinale diacono di S. Angelo in Pescaria e lo condusse con sé nel viaggio in Francia intrapreso alla fine del 1106: ci rimangono sue sottoscrizioni in vari diplomi rilasciati da Pasquale II nel corso del suo itinerario: una a Langres il 24 febbr. 1107, due a Valenza nel luglio, una il 10 settembre a Modena. La notizia del biografo, secondo cui B. sarebbe stato creato cardinale prete di S. Crisogono, ha dato adito a discussioni: posta in dubbio già dai Bollandisti e dichiarata erronea dal Klewitz - in base al fatto che nel settembre 1107 egli si firma ancora diacono di S. Angelo, e che nel 1111 il titolo di S. Crisogono appare occupato da un cardinale Gregorio -, la sua plausibilità è stata molto di recente riaffermata dal Ganzer, che sostiene la possibilità di una nomina al nuovo titolo per lo spazio fra il 1107 e il 1111. Ma un'ulteriore sottoscrizione di B. come 'Berardus de Pisciola' ad un documento di Pasquale II per Subiaco, in data 26 agosto 1109 (cod. Ottob. 3057, f. 139a), segnalato dal Kares, viene a restringere di molto questo spazio, e a confermare quindi, circa la notizia del biografo, il sospetto che si tratti di una confusione con Bernardo degli Uberti, cardinale del titolo di S. Crisogono dal 1099 al 1106. In ogni caso, che B., dopo la sua consacrazione a vescovo dei Marsi, che avvenne intorno al 1110, abbia lasciato ogni titolo cardinalizio appare dimostrato dal fatto che - come abbiamo visto - sia il titolo di S. Crisogono, sia quello di S. Angelo furono in seguito, lui vivente, occupati da altri. B. aveva, al momento della sua consacrazione a vescovo dei Marsi, trent'anni, e la sede dei Marsi era nelle mani dello scismatico Sigenolfo, installatovi dall'antipapa Clemente III.
L'attività episcopale di B. si appuntò particolarmente sulla lotta contro la simonia, il concubinato del clero e la dissolutezza dei laici in materia di matrimonio. Il suo rigore contro i potenti locali, che scomunicò più volte, gli valse forti opposizioni e ripetute espulsioni. Durante tali forzati esili si rifugiò a Roma, resse temporaneamente le chiese di Alatri e Veroli (qui il vescovo Lieto era stato da Pasquale II sospeso dalla sua dignità, in cui lo ristabilirà nel 1118 Gelasio II) e compì una legazione in Sardegna. Nell'ottobre 1113 sottoscrisse in Ferentino un documento di Pasquale II, che decideva su una contesa fra l'arcivescovo Landolfo di Benevento e il vescovo di Troia.
Da Pasquale II ottenne, il 25 febbr. 1114, la conferma dei confini, possessi e diritti della sua diocesi. Nel 1117 interveniva alla consacrazione della cattedrale di Palestrina, compiuta il 16 dicembre dal pontefice. Nel 1122 a Trasacco sottoscriveva una donazione del conte Crescenzio alla chiesa dei SS. Martiri Cesidio e Rufino. Intorno al 1122 fu incaricato da Callisto II di decidere una causa fra il vescovo di Penne, Grimaldo, e il monastero di S. Bartolomeo di Carpineto.
Nel settembre 1130 B., in visita presso la chiesa di S. Giovanni in Capite Aquae (nella regione di Celano), cadeva malato, e si faceva trasportare nella cattedrale di S. Sabina, dove morì il 3 novembre e dove fu sepolto.
La sua tomba fu subito oggetto di culto nella diocesi dei Marsi. Nel 1580, a causa dei trasferimento della sede episcopale dalla città di Valeria, in rovina e disabitata, a Pescina, avvenne la traslazione della salma di B. nella chiesa di S. Maria del Popolo di Pescina, in seguito dedicata al suo nome (1743). Il culto, che non fu inserito nel Martirologio Romano, fu confermato da Pio VII alla diocesi dei Marsi (1802, 20 maggio) ed esteso quindi alla diocesi di Palestrina.
Lo Eggs nel Supplementum novum purpurae doctae, Augustae Vindelicor. 1729, pp. 49 s., ricorda un suo Tractatus pro restauratione morum ecclesiasticorum, "qui Marsis extat manuscriptus": ma oltre a questa notizia - ripresa dal Mazzuchelli (Gli Scrittori d'Italia, I 1, 2, Brescia I 760, p. 913) - non si ha traccia alcuna dello scritto attribuitogli.
Fonti e Bibl.: F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, I, Venetiis 1717, coll. 892-902; P. A. Corsignani, Reggia Marsicana, Napoli 1738, I, pp. 682, 547; II, pp. 152-65, 544, 547 s.; Acta Sanctorum novembris, II, 2, Bruxelles 1894, pp. 125-135; G. Schwartz, Die Besetzung der Bistümer Reichsitaliens, Leipzig u. Berlin 1913, pp. 282 ss.; O. Kares, Die Kardinäle des elften Jahrh.s (996-1143). Statistische-chronol. Studien, Füssen 1949 (datt.), p. 242; H.-W. Klewitz, Reformpapsttum und Kardinalkolleg, Darinstadt 1957, p. 133; E. Ferracci, II cardinale s. Berardo vescovo dei Marsi, alfiere dei diritti della Chiesa, in L'Osserv. romano, 25-26 sett. 1961, p. 6; K. Ganzer, Die Entwicklung des auswärtigen Kardinalats im hohen Mittelalter, Tübingen 1963, pp. 67 ss., 192 s. e passim; Dict. d'Histoire et de Géographie Ecclés., VIII, coll. 320 s.; Bibliotheca Sanctorum, II, col. 1268.

Il Reportage di Raffaella sulla Festa dell'Agorà

Pubblichiamo il reportage che Raffaella Girlando ci ha inviato sulla Festa dell’Agorà, svoltasi a Carsoli il 15 Novembre 2009.
 L’utilizzo di un linguaggio a volte poetico, altre volte, descrittivo , ci fa rivivere le sensazioni e le emozioni di quella magica giornata.
 Infine abbiamo deciso di pubblicarlo su questo spazio, senza alcun commento fotografico, perché, così come spesso accade, che la Letteratura anticipi la descrizione di eventi storici, anche nel caso di questo testo, un uso sapiente delle parole, evoca delle immagini oniriche che danno vita a una sorta di disegno in movimento molto più coinvolgente di un’immagine fotografica.


Spendo “due” parole per la manifestazione a mio avviso organizzata in maniera eccellente. Sono solo le mie impressioni:
 I pasti sono stati ben distribuiti perché ogni piatto aveva il suo Stand quindi non si sono verificate le solite file interminabili cui siamo abituati nelle sagre estive… Ogni pro loco ha potuto dedicarsi esclusivamente alla preparazione di una o al massimo due ricette tipiche così dà avere come risultato la perfezione del gusto, della giusta cottura e della presentazione dei piatti serviti. Il tempo che ha fatto da complice ci ha permesso di passeggiare in tranquillità e di osservare gli antichi mestieri. Emozionante è stato osservare lo stupore di mio figlio di soli cinque anni che per la prima volta poteva dal VIVO ammirare un fabbro che batteva l’incudine e plasmava il ferro arroventato che divenuto molle si trasformava in un anello o in un ferro di cavallo… mi sono emozionata perché oggi i bimbi…ma anche gli adolescenti, nell’era del tecnologico del multimediale e delle consolle, stanno perdendo il senso della realtà… credo che sia importante mantenere vive certe tradizioni e manifestazioni per tramandare alle generazioni future il nostro passato, la nostra cultura che non è preistoria… Osservare un cestaio…che intreccia le verghe e con i movimenti del busto da vita a un cesto dalle forme più disparate può far rendere conto che prima delle macchine c’erano gli artigiani…e che ciò che si legge nei libri non è solo carta stampata ma la realtà della nostra storia e della nostra cultura…che dietro un oggetto c’è il lavoro, l’impegno e soprattutto l’ingegno umano. Divertente è stato anche osservare come i bimbi compreso il mio si divertivano a raccogliere i trucioli del legno che l’intagliatore faceva cadere a terra mentre plasmava un volto... Il commento di Paolo (mio figlio…) è stato… “mamma… come profumano questi coriandoli di legno…!!!" Eh si!!! Profumavano proprio… un odore antico che oggi è stato ahimè dimenticato Passeggiando infatti per il paese…...non si sente più l’odore del legno… il rumore della sega o della pialla che forgia magari un tavolo o una sedia né il TIN TIN TIN TIN della mazza che batte il ferro…per forgiare alari o ferri di cavallo come faceva “Zi Petruccio…” (ricordo quando ancora ero bambina - quindi non più di 25-26 anni fa in cui avevo l’età di mio figlio…- e con nonno andavo dal falegname a prendere le tavole per costruire un’altalena o un panchetto…) Oggi si sente l’odore dello smog… il rumore delle accelerate di macchine un po’ troppo frettolose e il via vai impazzito delle persone che stressate (a volte per moda…) dal tran tran quotidiano e a malapena si salutano o si fermano a scambiare quattro chiacchiere in tranquillità… Bè questo è invece accaduto alla Festa Dell’Agorà… è stato come se il tempo si fosse fermato come se all’improvviso fossimo stati catapultati in un’epoca in cui le macchine non erano state inventate e si poteva passeggiare liberamente con molta calma al centro del corso incontrare i vecchi amici; Sorseggiare con loro un bicchiere di vino in piazza e mangiare pasta ammassata a mano come una volta e ancora delle caldarroste…tra una risata e un “.. Ricordi quando….!!!!”…. HAHAHAH!!!” … annusare l’odore dei formaggi tipici avvolti a un canovaccio e delle ottime salsiccette di Campotosto o gustare i meravigliosi confetti della Pelino di Sulmona e ancora il profumo del miele artigianale e delle marmellate fatte in casa… Mio figlio esterefatto voleva vedere tutto, non perdersi niente, rincorreva il trampoliere e osservava lo spettacolo teatrale con un occhio un po’ titubante perché alcune maschere lo spaventavano… ha voluto provare “l’ebbrezza della filatura” …e così eccitato dal fatto che da alcuni semplici intrecci lui aveva creato un tessuto… ha voluto che gli acquistassi il telaio e la lana… (così ho potuto nascondere per un po’ il GAME BOY!!!)… Come lui anche molti altri bambini eccitati correvano qua e là… La giornata è terminata con uno zucchero filato gigantesco rosa… quando il sole oramai era andato a riposare… e felici e un po’ stanchi siamo tornati a casa ma con il cuore caldo e pieno di ricordi di una lunga giornata che per noi (io e mio figlio) è stata magica!

Palmino Ferrante Poeta di Colli di Monte Bove


Queste due poesie di Palmino Ferrante, che l'autore ha appositamente vergato a mano per i lettori di questo blog, rappresentano due momenti diversi della vita di colui che ha dovuto forzatamente lasciare il proprio paese di origine ma che ogni volta che vi ritornava riprovava le sensazioni della sua infanzia. L'altra, invece, ci racconta il paese con i suoi ..."rumori" di allora e, il silenzio, talvolta spettrale, di oggi.
La Poesia Colli di Monte Bove è stata premiata al concorso nazionale di poesia "L'Albero Andronico" al Campidoglio di Roma e la Giuria, insigne riconoscimento, ha pregato l'autore di redigerla anche in italiano per essere conservata agli atti del Premio.
Palmino Ferrante ha pubblicato una dozzina di libri di poesia: ne abbiamo scelte quattro e le abbiamo fatte riscrivere dall'autore,  per far apprezzare più compiutamente questo nostro amatissimo poeta.

Piccolo Dizionario dei riti del Matrimonio a Colli

Un solo grido!: "...Piucchiù, nun' zo ppiù..."
Questo sarà un Post work in progress, aperto alla collaborazione di tutti i lettori del Blog. La mission sarà quella di redigere un piccolo dizionario dei riti che circondavano a Colli il matrimonio di un tempo: proverò a descrivere gli eventi che rammento, con la consapevolezza che sono ricordi aridi, scheletrici, sommari e lacunosi.
Chi vorrà potrà postare nei Commenti lemmi integrativi o aggiuntivi, oppure inviarmeli per email (l'indirizzo è in fondo al Blog alla voce Contatti) per essere trascritti qui.
Da Giovanni Anastasi riceviamo e pubblichiamo integralmente:
I MATRIMONI A COLLI DELL'OTTOCENTO: I festeggiamenti avevano la durata di una settimana e nelle tre domeniche precedenti avevano luogo le pubblicazioni. La prima domenica di pubblicazione la sposa andava in chiesa vestita con abito di seta con velo accompagnata da parenti e amiche. Tornata a casa riceveva il "primo complimento" (rinfresco).
all' inizio della quarta settimana il fratello ( o un parente) dello sposo accompagnava la sposa a casa dello sposo. alla porta ad attenderla c'era la suocera con un ciambellone che le diceva: "Sposa mia bella, portami la pace e non la guerra". Veniva fatto un rinfresco poi la sposa con tutti i parenti tornava a casa e offriva loro il pranzo.
Il matrimonio si celebrava la mattina del sabato quando lo sposo, accompagnato da una sorella o zia, andava a prendere la sposa, accompagnata anch'ella da una sorella o da una zia. Si andava in chiesa in quattro e i genitori restavano in casa. Finita la celebrazione si andava a casa della sposa dove c'era una colazione per gli invitati. Dopo la colazione lo sposo tornava a casa e la sposa restava coi suoi. Quest'ultima "usciva" di casa la domenica seguente detta "della benedizione" e si rinchiudeva a casa dello sposo per i successivi otto giorni senza uscire dalla propria stanza. Passato questo periodo le due famiglie potevano organizzare il pranzo di nozze.
Tra tutte le usanze di quel tempo, una è particolarmente carina: qualche sabato prima del matrimonio i parenti dello sposo andavano  a casa della sposa e cercandola dicevano: "s'è perduta una pecorella e la cerchiamo, è tra le vostre?". Una volta che la sposa si faceva riconoscere, il fratello dello sposo le donava l'anello di fidanzamento: "per amore di mio fratello dammi la mano che ti metto l'anello". poi un altro anello veniva regalato il giorno delle nozze.
Sia i parenti dello sposo e quelli della sposa andavano in giro ad invitare i parenti per il pranzo della domenica con una lanterna. Infine c'era il corredo che veniva trasportato il giovedì precedente dai parenti che inscenavano un mercatino con il corredo e le ciambelle. il tutto finiva con discussioni e risse, naturalmente finte.

(fonti: archivio famiglia Panegrossi)

I CANESTRI: I parenti più stretti della sposa e dello sposo dovevano assolvere a questo compito di inviare un canestro contente per lo più specialità alimentari che venivano poi utilizzate per il cosiddetto "pranzo degli spusi".
Le donne addobbavano questi canestri con nastri e fiori di carta di vari colori che creavano loro stesse; venivano portati sulla testa ed il peso era equilibrato, ed in parte ammortizzato, da un pezzo di stoffa arrotolata. Per consuetudine durante il percorso le portatrici dei canestri venivano accompagnate da un commento musicale (solitamente opera di "Topone"), come mostra la foto in alto a destra.
CIAMMEGLIO-Glio- (Il Ciambello): Ciao maurizio, sono Giovanni Anastasi e rivedendo le foto del matrimonio dei miei genitori (Elena e Bruno) ho trovato la foto con il ciambello e mi sono fatto spiegare a cosa serviva. Era una semplice tradizione che veniva fatta dopo la cerimonia.
Quando gli sposi entravano nella casa dello sposo, la sposa si inginocchiava alla soglia della porta, la suocera gli donava il ciambello, la sposa lo passava senza guardare dietro e il primo che lo prendeva lo mangiava (in quel caso zio Richetto). Purtroppo non sono riuscito a capire da dove provenisse questa tradizione. Ciao                
PRANZO DEGLI SPUSI (Pranzo degli Sposi): Era la riunione conviviale che seguiva la celebrazione del matrimonio in chiesa. Tutti gli invitati alle nozze s'incamminavano, in corteo seguendo gli sposi, verso la sede del simposio culinario. In genere veniva utilizzata una stanza spaziosa, ma, sistematicamente, erano utilizzate anche quelle attigue perchè i convenuti al ...baccanale erano masse ...oceaniche.
Tutte le pietanze (portate) venivano preparate la notte precedente le nozze dalle amiche della sposa o della famiglia ma non poteva mai mancare la Cuoca (La Coca, una provetta era Maddalena, quì ritratta nella foto, al centro) che dirigeva tutte le fasi della preparazione delle pietanze. Queste dovevano essere nuerose ed il più abbondanti possibile in quanto erano segno di munificenza delle due famiglie degli sposi e rivestivano una simbologia augurale alla nuova unione. Il tutto, ovviamente, accompagnato da un ottimo vino (paesano).
Per imbandire le tavole si utilizzavano i servizi buoni di posate e bicchieri che, soprattutto i componenti del Rione (vicinato), mettevano a disposizione.
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