COLLI

Un falso storico su Colli smascherato





Adriano Ruggeri sul numero di Aequa 37, Aprile 2009, apporta un' interessante e rigorosa ricostruzione del falso storico, consolidatosi nel tempo, dell'appartenenza di Colli al feudo di Amatrice nel corso del Medio Evo.

Spunto di questa breve puntualizzazione è stato l'articolo dell' amico Artemio Tacchia relativo alla lapide settecentesca apposta sulla cosiddetta "Porta della Catena" in Colli di Monte Bove, indicante le tariffe da pagare per poter attraversare il non lontano valico di Monte Bove, unico possibile accesso per chiunque avesse voluto entrare nella Marsica, nell'Abruzzo e nel Regno di Napoli

L'Arco della Dogana(Saggio)







"Aequa" la rivista di studi e ricerche sul territorio degli Equi nel suo numero 27, Ottobre 2006, a firma di Artemio Tacchia ha pubblicato un saggio sulla lapide con la tariffa borbonica di Colli di Monte Bove:
Gli anziani ancora lo raccontano, con orgogliosa nostalgia (1). Come a dire che Colli (980 m s.l.m.), in passato, invece di essere un piccolo paese abbandonato come è oggi, era un centro vivo ed importante tanto che chi voleva attraversarlo per addentrarsi nel Regno di Napoli (poi delle Due Sicilie) doveva pagare, secondo quanto stabilito alla Tariffa incisa sopra una lastra marmorea ed appesa nei pressi della Porta Catena, all'ingresso occidentale, probabilmente in Piazza Palazzo, dove c'è la fontana Colonna.(2)
Scrive in proposito il Pieralice: "I gabellieri i quali traevano una catena di ferro attraverso la via, proprio là è quella fonte senz'acqua entro il paese, con un bel frontone di pietra scalpellata a pilastrini e archi, e non si passava... se non si ungeva la serratura con l'unzione della tariffa, che senza dubbio doveva essere affissa colà"(3).....

Confraternita di S. Berardo (1857)


Questo documento del 1857 è di estrema importanza in quanto testimonia vicende storiche che, molto probabilmente, indussero la Confraternita di San Berardo a cambiare il proprio nome in Venerabile Compagnia del Glorioso San Berardo.
Frontespizio in Pdf scaricabile all'indirizzo:

Elenco dei Confratelli di S. Berardo (1884)


Questo è l'elenco dei Confratelli della Confraternita di San Berardo rinnovata ai 27 Aprile 1884, come è testualmente scritto sul frontespizio del prezioso documento.
Scaricabile in formato Pdf al seguente indirizzo:

Colli era Comune nel 1816

Come attesta questo atto ufficiale redatto il 2 Gennaio 1816, Colli era comune autonomo e non faceva parte, come frazione, di quello di Carsoli. Inoltre il suo nome era semplicemente Colli senza l' attuale suffisso di Monte Bove.

Le spese per l'Orologio del Campanile (1861)

Il documento è scaricabile in formato JPEG al seguente indirizzo:

Vivere La Marsica - GIUGNO 2009


Articolo apparso nel numero di Giugno 2009 del mensile "Vivere La Marsica", sulla tradizionale processione del mese di maggio della statua di San Michele da Colli alla grotta di Sant'Angelo.
Il documento è scaricabile in formato Pdf Quì

Mostra Civiltà Contadina (1991)


Il telaio per tessere la canapa con tutti gli accessori

Chiesa Madonna della Speranza

Fatta costruire da Antonio, Francesco e Giovanni Nicola Panegrossi nell' A.D. MDCCCXXXVI.
Chiesa ad unica navata che risente dei motivi architettonici imperanti nella prima metà dell' Ottocento, si caratterizza per la presenza sull'altare Maggiore di un quadro rappresentante Vergine con Bambino di pregiata fattura (fine '400). Sulle pareti laterali vi sono 14 quadretti, riprodotti in policromia, risalenti ai primi dell'800, raffiguranti la Via Crucis con descrizione delle stazioni tradotte in quattro lingue (Latino, Italiano, Francese e Spagnola).
Consacrata il 16 giugno 1839 dal Vescovo dei Marsi Alexander Colantonj, venne dotata di alcuni fondi affidati alla conduzione della famiglia Panegrossi, come da rogito notarile redatto presso il notaio Giovanni Bonomi di Tagliacozzo in data 2 Settembre 1836.
I fondi assegnati furono:
Canapina di tre coppe e mezza in contrada Vallendenza;
Canapina di una coppa circa contrada li Vignali;
Seminatorio arbustato di coppe due circa contrada Ortonico;
Seminatorio di tre coppe circa in località detta Fonti Frati.
Alla famiglia Panegrossi venivano fatti gravare i seguenti pesi:
Una messa cantata alla ricorrenza del SS.mo nome di Maria;
Altre tre messe annue dette in giorni ad arbitrio;
Provvedimento dei sacri arredi e suppellettili necessari e mantenimento della fabbrica e suoi annessi a norma del precitato istrumento.

Chiesa San Nicola di Bari

Secondo una Bolla Pontificia di Clemente III, la chiesa era dedicata a San Giovanni Battista e risalente al 1118. Tuttavia si può presumere dalla datazione sottostante la Madonna della Concezione, una possibile costruzione risalente al 700 d.c.
Presumibilmente alla stessa epoca (VIII sec.) risalgono l'altro dipinto raffigurante una Madonna del Rosario ed i medaglioni che riproducono i 15 Misteri.
Anche una scena della crocefissione, di straordinaria bellezza, pur se enormemente degradata e attualmente occultata alla vista dal quadro di San Nicola, risalirebbe alla medesima epoca. Tra la fine del XVI e l'inizio del XVIII secolo la navata è stata prolungata di circa 3 metri e furono costruiti il Campanile e la nuova facciata.
La cornice dell'altare della Natività porta sull'architrave la data del 1618. A seguito dei recenti lavori di restauro sono apparsi numerosi dipinti sulla parete di sinistra rispetto al lato d'ingresso, che si estendono per tutta la sua superficie e risalenti al primo 500, analizzando i motivi e la tecnica pittorica.
Nella nicchia della parete di sinistra era conservata una statua lignea di Madonna con Bambino di pregevolissima fattura (ora al museo Preistorico di Celano) risalente al XIII secolo.

Foto Archivio della Famiglia Mantica



Colli negli anni tra le due guerre mondiali

SITES AND CYTIES - G.E. Kidder Smith (1957)

Lo storico dell'arte inglese G.E. Kidder Smith nel suo libro sull'architettura europea e sulle forme di costruzione del continente, per illustrare la sua tesi sulla perfetta armonia tra disegno urbanistico e paesaggio naturale del Medio Evo italiano pubblica la foto di Colli di Monte Bove insieme a località molto più famose come Positano, Trevi, Ischia, San Fruttuoso e Rapallo.

Foto di Colli (1960)

La Banda Musicale di Colli (1950)

Due Foto estremamente rare


La galleria di Colli di Monte Bove (1905)


Il Ponte di S. Antonio (1900)
Compito di studiare il tracciato che doveva collegare Ostia sul Mediterraneo (Ostia Tiberina) e Pescara (Ostia Amiterni) fu affidato all’ing. Cortolano Monti il quale produsse il tracciato della ferrovia Roma-Pescara in data 20 Aprile 1874. Le caratteristiche essenziali del progetto dell’ing. Monti furono quelle di evitare di raggiungere nella costruzione grandi dislivelli e di privilegiare quelle zone che avessero folti boschi in modo da abbattere i costi di produzione.
Il 29 luglio 1879 il parlamento approvò la costruzione della linea Roma-Sulona di una lunghezza complessiva di Km. 161,200 (in realtà risulterà della lunghezza di Km. 171,853). Il costo fu preventivato in £. 56.400.000. Nel tracciato la massima pendenza è del 3,02%. Il maggior rettilineo è di Km. 12,297. Vi si contano 39 gallerie per una lunghezza complessiva di Km. 19,841 di cui tre di esse si considerano principali:
Colli di Monte Bove di Km. 3,943
Carrito di Km. 3,541
Pietrafitta di Km. 1,875.
Si hanno 44 viadotti importanti. 7 ponti e sottovie. Le stazioni sono 36. La linea attraversa 29 comuni dei quali 10 in provincia di Roma e gli altri 19 in quella dell’Aquila.
La costruzione della galleria di Colli di Monte Bove fu particolarmente difficoltosa a causa delle continue e vaste infiltrazioni di acqua (260 l. al secondo) e durò 4 anni 10 mesi e 9 giorni.
Il Video girato da Paolo sulla galleria di
Colli di Monte Bove

Chiesa San Nicola di Bari: l'Organo




L’Organo di grande pregio artistico e storico, risale al XVIII secolo e proviene dal Monastero di Santa Scolastica presso Subiaco. Il trasferimento dello strumento nella sede attuale avvenne nei primi decenni del secolo XX.
L’esame approfondito dei particolari costruttivi ed il rinvenimento di un cartiglio, seppure illeggibile nella parte essenziale, fanno ritenere che lo strumento sia opera dell’organaro Cesare Catarinozzi (1660 – 1743) di Affile; sono anche da notare evidenti tracce di restauro ottocentesco.
Lo strumento collocato in cantoria situata nella parete d’ingresso è racchiuso in cassa di risonanza ad unico scomparto, dipinta; le 19 canne di facciata sono in stagno, originali e sono disposte ad ali ascendenti, il piede è alto e differenziato, le bocche che si presentano non allineate, hanno il labbro superiore a mitria; due ante dipinte racchiudono completamente il prospetto.
La cassa manticeria che costituisce anche la base del pregiato strumento, incorpora un mantice del tipo a lanterna, alimentato da due pompe sottostanti azionate da una leva a mano disposta nel lato destro.
La tastiera scavezza è in bosso, di 45 note dal DO-1 al DO-5, lo stichmass risulta essere di mm. 503 (dal DO-2 al SI-4), la pedaliera anch’essa scavezza è di 8 note (D0-1 SI-1) ed è costantemente unita alla tastiera.
I tiranti del registro disposti a destra della tastiera in due file verticali sono privi di diciture, il quadro fonico che emerge dall’esame delle parti interne, si compone del Principale, l’Ottava, la Decimaquinta, la Decimanona, la Vigesimaseconda ed un altro registro non identificato.
Il somiere, del tipo a tiro con 45 ventilabri, presenta la secreta a due chiusure, la trasmissione è meccanica a catenacciatura tradizionale, le canne interne hanno le bocche sotto il crivello e l’accordatura è del tipo a squarcio.
Nell’interno della segreta del somiere maestro si può notare un cartiglio mutilo: “CESARE/……../US APHILANUS FACIEBAT……..”.

Stendardo della metà dell'800



Si tratta di uno stendardo arrotolato in un contenitore in ferro rinvenuto causalmente da Antonio Barnabei nella sagrestia della chiesa San Nicola di Bari, in occasione dei recenti lavori di restauro.
Sono in corso le valutazioni per l'attribuizione e la datazione dell'opera.

L'Opera Pittorica della Grotta di S. Angelo


Grotta di Sant'Angelo
Arco Absidale
Non esistono informazioni documentarie sulla grotta della Madonna di Sant’Angelo di Colli di Monte Bove, né alcun dato informativo preciso emerge dal “monumento” stesso.
Si tratta di una grotta sita a poco meno di mezz’ora di cammino dall’abitato di Colli di Monte Bove, alla quale si lega la devozione degli abitanti dei paesi vicini, in quanto, secondo una tradizione da presumersi secolare, non solo da una sua falda sgorgherebbe il sangue dei martiri, ma essa nasconderebbe in un muro la treccia della Madonna!
La grotta consta di un vano d’accesso, la cui semplice conformazione geologica è stata in parte normalizzata dall’ intervento umano così da renderla simile ad una navata, sulla quale si apre una cappella absidale costruita con pietrame, intonacata ed affrescata sulla facciata esterna, oltre che sulla parete di fondo. Antistante ad essa si colloca un altare in pietra, intonacato. Sulla sinistra della cappella una gradinata in pietrame conduce in alto alla conclusione dell’antro.
La campagna pittorica si estende su quello che potremmo chiamare l’arco absidale e sulla parte di fondo dell’abside. Sull’arco absidale l’immagine centrale rappresenta la Madonna col Bambino, seduta su un trono. Incoronata, offre il seno di destra al Figlio il cui principale interesse sembra consistere nel gesto di benedizione della Santa a lui di fronte. Con la sinistra il Bambino regge il rotolo della legge. Veste e manto della Madonna sono blu e rosso scuro, con un gallone appena sopra l’orlo inferiore a dare un tocco di eleganza all’abbigliamento. Sopra gli spioventi del dossale è scritto in lettere greche e con la consueta abbreviazione, il termine di “Madre di Dio” (Mether Theou). La Santa alla sinistra del gruppo centrale è specularmente accompagnata da altra alla destra, ambedue caratterizzate da una sorta di cuffia sulla testa che lascia comunque abbondante spazio ai capelli raccolti con una certa eleganza sulla nuca. Ambedue le Sante si rivolgono con una mano a palma aperta verso il gruppo divino, mentre con l’altra racchiudono un fiore di giglio, ovvio simbolo del loro stato virginale. Fiancheggiano le due Sante d’un lato San Michele Arcangelo, dall’altro San Biagio. Il primo è facilmente riconoscibile dalla sua impostazione iconografica (oltre alle larghi ali, l’asta che verosimilmente trafiggeva in basso il demonio – dove l’affresco è scomparso); il secondo rappresentato con vesti ed attributi della sua dignità vescovile, è identificato dal titulus latino. Sotto San Biagio si scorge un volatile dal lungo collo e dal piumaggio celeste, su un fondo giallo ocra bordato di celeste. Mancano, o almeno non sono conservate, iscrizioni di committenza o di data.
L’altro affresco è quello sulla parete di fondo: entro un clipeo blu, spicca il busto del Cristo benedicente, purtroppo menomato da una lacuna particolarmente fastidiosa sull’occhio sinistro oltre che su parte del busto. Lo affiancano due figure intere, dunque sottodimensionate rispetto a Cristo, di angeli, ciascuno con un fiore di giglio in mano. Un’ala di ciascuno di loro contorna il clipeo di Cristo, l’altra discende in verticale ad affiancare il lato corto del rettangolo entro cui è racchiusa l’intera composizione. Non resta traccia alcuna di iscrizioni.
L’aver costruito una cappella all’interno della grotta, solo in parte usandone la conformazione geologica, non è un fenomeno unico, anche se è più raro dei casi in cui le grotte vengano direttamente intonacate e affrescate senza essenziali interventi murari. Un caso analogo è in Campania, sulla costiera amalfitana, nel Santuario di Santa Maria di Olearia.
La scelta e la disposizione delle immagini di questo programma pittorico trovano alcune possibilità di riscontri nell’area geografica confinante: fra Lazio, Abruzzo e Roma.
Il tema della Madonna allattante conobbe una larga diffusione soprattutto dal XIII secolo. In Campania e, più in generale, in Italia meridionale lo si trova di frequente lungo il Duecento sia su tavola che ad affresco. Osservando attentamente il dipinto della grotta di Sant’Angelo a Colli di Monte Bove, si può legittimamente ritenersi che, regalità, sacralità e umanità dell’immagine abbiano pienamente soddisfatto le esigenze devozionali del committente e dei fedeli.
I mezzi formali coi quali il programma fu dipinto suggeriscono che ciò sia avvenuto nella seconda metà del Duecento. Ad una tale datazione l’iconografia della Maria lactans è perfettamente consona, anche se non significa l’esclusione di un qualche decennio precedente. Rispetto alle “Madonne” abruzzesi questa è l’unica rinunciare alla pura frontalità dell’ ornato decorativo.
Sul “dossale” gli orientamenti cambiano, tanto che si potrebbe essere addirittura tentati ad ascrivergli una data anteriore. Il pittore è infatti diverso ed i suoi modelli non appaiono per nulla coincidenti con quelli finora indicati, né rivelano modi necessariamente posteriori ai decenni iniziali del ‘200. Tuttavia la pur estrinseca indicazione della medesima bordura decorativa tricoma e la plausibilità di un unico intervento mi fanno propendere per una datazione unitaria delle due parti. Il Cristo ha un tipo fisionomico che mi sembra ascendere ad una “moda” d’immagine che nei modi più simili è rappresentata negli affreschi della cappella di San Gregorio a Subiaco, del 1228, sia che si prenda a confronto la famosa effige di San Francesco sia quella di Ugolino. Lì d’altronte, si ritrova anche la bordura tricoma gradinata ed è almeno suggestivo che si ritrovino anche uccelli simile a quello del pennacchio trapezoidale. Tuttavia le “informazioni” fornite dagli affreschi possono e devono tirare in causa anche altri monumenti. La bordura tricoma la si ritrova tanto nella celebre cripta per Anagni , quanto in Abruzzo a Bominaco; ad Anagni continua l’uso del motivo dei volatili e, infine, viene anche applicata sull’aureola di Cristo una sigla decorativa di imitazione vegetale che è significativa, al di la della specifica similitudine, proprio per la sua scelta: dal momento che l’aureola crucigera prevedeva, di “norma”, la decorazione ad imitazione (più o meno fedele) di pietre preziose incastonate.
La grotta di Sant'Angelo


Apparentemente estranei a questi orientamenti appaiono gli angeli, anche se dovrà sottolinearsi che soltanto quello alla destra ha mantenuto inalterata la sua sostanza pittorica, piuttosto bella per il dosaggio della lumeggiatura e correttezza di disegno: mentre l’altro è diventato piuttosto atono, per tal via venendo “casualmente” (credo) ad assomigliare fisiognomicamente a opere pugliesi del 1200 circa: da San Biagio presso Vito dei Normanni a Poggiardo.
In conclusione, con questi diramati e plurimi rinvii non s’intende naturalmente far convergere l’intera pittura dell’Italia meridionale e romana sulle umili pareti di questa grotta, ma evidenziare la loro generale pertinenza al loro tempo che, fu certamente la seconda metà del secolo XIII, forse il suo ultimo quarto.
Sono affreschi di un linguaggio formale modesto, ma per nulla affatto privi di sensibilità pittorica, corredato dalla conoscenza di modelli e schemi usati lungo il Duecento.

Valentino Pace
Tratto dal volume: “Bisanzio e l’Occidente”
Viella, Roma, 1996

Costumi Tradizionali (1956)

(Archivio Antonio Barnabei)
(Archivio Antonio Barnabei)

Madonna con Bambino XIII sec.



(Foto: Archivio Antonio Barnabei)
Scultura lignea policroma raffigurante Madonna con il bambino sec XIII - Alt. cm. 109

Il Gruppo è scolpito solo nella parte anteriore, mentre quella posteriore è piatta ed attaccata ad una tavola che a circa metà dell'altezza presenta due sporgenze imitanti un sedile così da creare l'illusione che la Madonna stia seduta.
Secondo la tradizione, davanti a questa sacra immagine avrebbe pregato San Berardo, nativo di Colli e vissuto tra il secolo XI e XII, ma sembra posteriore.
La statua si trovava originariamente nella ormai distrutta chiesa del Castello.
Nella prima metà del '700 un sacerdote (Nello Panegrossi) la fece spostare nella chiesa parrocchiale dove fu ospitata da una nicchia, datata sulla base 1739.
Forse in tale epoca è stata realizzata la corona d'argento posta sul capo del Bambino, la quale riecheggia in una tipologia abbastanza diffusa nella zona (Tufo e Carsoli).
Rivestita a suo tempo di un vestito e di un manto di raso, la statua si era sempre più impregnata di umidità, per cui il legno in alcune zone aveva assunto una consistenza spugnosa e la superficie pittorica in molti parti era caduta.
Il gruppo fu malamente ridipinto specie nei volti ma oggi è ritornato al suo antico splendore grazie all'opera di restauro effettuata dalla Sovrintendenza ai Beni Ambientali di Aquila ed è custodito, per ragioni di sicurezza, al Museo della Marsica di Celano (AQ.)

Le Origini di Colli di Monte Bove

Fin dall'antichità la via Valeria, via consolare che univa l'attuale Abruzzo a Roma, solcava a mezza altezza, le pendici del colle appoggiato al monte Bove sulle quali oggi si adagia o s'inerpica Colli di Monte Bove.
Il monte fa parte dei carseolani e la montagna prospiciente, ubicata a sud, appartiene all’estremità settentrionale dei Simbruini.
La vallata, situata nel mezzo, è una sorta di porta che da Ovest, immette nella regione Abruzzese e quindi nel versante adriatico.
Per “aprire” questo ingresso, i Romani vi fecero passare il tracciato della Via Valeria e per “chiuderlo”, un Berardo o Bernardo, discendente di Carlo Magno, nel X secolo, vi costruì un castello, alla sommità del “Colle”.
Il castello sulla vetta ed il tracciato stradale alla base generarono il paese. Colli, visto dalla montagna di fronte, ha la forma di un triangolo con la base molto allargata.
Secondo le annotazioni riportate nella “Vita di San Berardo”, di don Paolo Panegrossi, nei primi secoli il paese era rappresentato esclusivamente dal borgo, un gruppo di casupole circondate da mura ed ammucchiate a ridosso del castello.
Il borgo arrivava sino alla “Piazzetta” dove sorge la chiesetta dei Panegrossi. Le mura da questo punto volgevano verso “Le Pezze”, seguendo all’incirca il percorso della Via Tiburtina. Arrivate a una località chiamate “Le Caselle” (probabilmente così chiamate perché vi erano esistiti dei cancelli) risalivano a Nord verso “Ritifossi” per completare il giro che cingeva il piccolo territorio attorno al castello.
La chiesa all’interno della rocca ospitava una copia del miracoloso e pregiato simulacro in legno della Madonna dei Bisognosi che esiste tuttora ed è custodita presso il museo della Preistoria a Celano (AQ.)
San Berardo nacque da un Berardo XIV, nell’XI secolo, conte dei Marsi e discendente del fondatore del castello e da Teodosia, gentildonna di origine bizantina.
Avviato a gli studi presso i monaci regolari dell’Abbazia di Santa Sabina in riva al Fucino (oggi San Benedetto dei Marsi), vi divenne abate e fu vescovo dei Marsi e Cardinale.
Si distinse sotto Papa Pasquale II nella lotta contro gli eretici ed i nemici della chiesa.
Giovanni da Segni, detto più spesso il Signino, suo successore alla guida dell’Abbazia e della diocesi, nochè suo biografo, ed oltre a questi il Febonio, storico marsicano del secolo XVI, attestano che San Berardo era nato a Colli e contestano le pretese esclusivamente deduttive e senza riscontri del Corsignani, storico celanese, secondo cui il santo non poteva che essere nato a Celano.
Nel secolo XIII con l’età dei comuni ed il rifiorire dei traffici e dei commerci, riacquistò vita ed importanza la “strada romana” ed attorno ad essa incominciarono a sorgere costruzioni. I nuovo agglomerati, espandendosi, si fusero in alto con il vecchio borgo ed il paese assunse all’incirca l’estensione e la configurazione attuale.
Nel baricentro del triangolo sorse nel corso del XII secolo la nuova chiesa parrocchiale dedicata a San Nicola di Bari.
La via consolare ed il castello furono le cellule germinali. La gestazione durò dal X al XIII secolo. Il fiorire di un campanile fu l’atto di nascita del paese.
Giacomo Lauri
 

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